La critica recente, figlia dei nostri giorni, pare stia tralasciando se non dimenticando del tutto quel messaggio unico e sconvolgente che il regista Ingmar Bergman seppe imporre sulla scena culturale e cinematografica dalla metà degli anni '50 ai primi anni '60 del secolo scorso. Si tratta di un'interrogazione acuta, dolorosa, incandescente rivolta al silenzio di Dio. Forse mai nessuno, almeno nel mondo del cinema, aveva osato spingersi così avanti nel mettere il Trascendente al centro della scena a partire da una propria domanda interiore, che nei film di quel periodo avvertiamo vivida e lacerante. Bergman non faceva mistero di esserci lui dietro al cavaliere Antonius Block de Il settimo sigillo o dietro al professor Isac Borg de Il posto delle fragole. La sua ricerca angosciata, i suoi dubbi, le sue domande assumevano la forma di un'eco che dalle sale cinematografiche svedesi si diffondeva nella società attraverso un fervente dibattito culturale.
Il libro ripercorre questa stagione irripetibile, pur tenendo fermo lo sguardo sul nostro tempo.