Molto fu scritto intorno alle Ultime lettere di Jacopo Ortis, e da molti, che con varii intendimenti, con criterii di giudizio o dissimili solo o a dirittura contrarii, con disposizione d'animo quando avversa e quando benevola, ne indagarono la origine e la storia, ne scrutarono la intenzione e lo spirito, ne notarono le qualità buone e cattive. Ne scrisse a più riprese il Foscolo stesso, il quale pochissimo amico del criticismo in teoria, da lui, come da altri, giudicato un vero e pessimo flagello delle lettere, fu più volte, in pratica, forzato a fare il critico di sè stesso, e ad esporre pubblicamente le ragioni e i propositi dell'arte sua; e se è provato oramai ch'egli affermò circa il suo romanzo assai cose non vere, è fuor di dubbio altresì che dell'indole de' personaggi, del procedimento dell'azione, della moralità della favola recò alcuni giudizii che per aggiustatezza ed acume non furono sorpassati da chi ne prese a ragionar dopo lui. Su taluno de' suoi giudizii tuttavia ci sarebbe molto a ridire, e più ci sarebbe a ridire su certi giudizii di critici posteriori, anche sommi. Io non intendo già di riprendere e gli uni e gli altri ordinatamente in esame, e confrontarli e discuterli, chè sarebbe lavoro lungo, minuto e fastidioso; ma avendo riletto di questi giorni il romanzo, e ancora molte altre cose foscoliane, e il Werther per giunta, ho pensato di gittar sulla carta alcune considerazioni suggeritemi da quella lettura, dalle quali può darsi che o l'uno o l'altro di quei giudizii riceva o correzione o compimento.