La stella di Venere, sola a ornare il silenzio vasto del cielo soffuso di bianchezza nella soavità dei primi albori, entrò per la finestra nel salone della casa addormentata e incoronò di piccoli raggi la fronte di Iulia bella, che rispose al saluto irradiandosi di fulgori.
Iulia bella non sorrideva con facilità; anzi si dilettava di rimanersene cinta di mistero sopra il fondo del piatto amatorio, dove un vasaio di Castel Durante l'aveva collocata in effigie, dotandola di venustà squisita fra la doppia lista dei capelli assettati dietro le orecchie e segnati di colore acceso per una fettuccia scendente dal capo, lungo le gote, fin sopra le spalle cariche a dovizia di pendagli e catene.
Ma nell'albeggiare di quella mattina di San Giovanni, mentre la campagna usciva dalla quiete notturna con tenui bisbigli, Iulia bella si compiaceva d'intrattenersi con la stella di Venere, come quando, forse, in altri secoli ella inviava sospiri alla notte gemmata da qualche balcone di qualche palazzo pesarese, dopo avere motteggiato donnescamente coi gentiluomini di Alessandro Sforza, duca novello di Pesaro, o aver danzato per alleviar la noia di madonna Lucrezia Borgia, moglie giovanetta del Signore Giovanni.